BREVE RELAZIONE SUL TRASPORTO FERROVIARIO CON PARTICOLARE RIGUARDO AL BASSO PIEMONTE E ALL’AERA BRAIDENSE
A cura di Roberto Borri
PREMESSA
L’introduzione del sistema di trasporto ferroviario ha apportato indubbi benefici all’umanità, che se n’è servita per il trasporto di viaggiatori e merci declinato in molteplici aspetti: lo aveva già intuito S. E. il Sig. Camillo Benso, Conte di Cavour e primo Ministro del Regno d’Italia, Ingegnere per formazione, affermava, con un suggestivo paragone basato sulla forma del nostro bel Paese, che le ferrovie per l’Italia avrebbero dovuto assumere il ruolo del filo che cuce lo stivale. Ovviamente, nella sua regione dove era situata la capitale del Regno e nelle immediate vicinanze (si pensi alla Lombardia occidentale), la rete era più capillare e, tuttora, nelle aree citate abbiamo una densità di binari ineguagliata in altre parti della Nazione. Dello stesso Cavour il concetto di separare per quanto possibile la viabilità stradale da quella ferroviaria, riducendo al minimo il numero di passaggi a livello. La linea Bra – Ceva, ovviamente, è o, meglio dire, era parte integrante di una fitta rete cui alcuni rami sono stati ingiustamente mozzati in nome di chissà quali elevati concetti.
LA LINEA BRA – CEVA
Sono, purtroppo, a tutti note le vicende che hanno mutilato questa tratta, vittima dell’alluvione del 1994, avvenuta all’indomani di un oneroso lavoro di manutenzione: non fosse stato altro che per rispetto nei confronti di coloro i quali hanno prestato la loro opera e l’hanno vista vanificata da parte di un ineluttabile fenomeno naturale, la ricostruzione sarebbe stata, almeno moralmente, doverosa. Tuttavia, anche le esigenze di mobilità restano, anzi, sono aumentate rispetto al passato, mentre non esistono mezzi di trasporto pubblico se non gli autoservizi, con tutti i problemi che comportano, tra cui ricordiamo: la soggezione al traffico veicolare, l’intrinseca pericolosità in caso di condizioni meteorologiche avverse, la bassa capienza, la velocità ridotta, l’induzione di cinetosi nei confronti di alcuni viaggiatori particolarmente sensibili; tutti inconvenienti cui la ferrovia può, almeno in una certa misura, ovviare.
Nell’analisi, però, non è stato ancora menzionato un importantissimo aspetto: la maggior parte delle linee ferroviarie è stata costruita a cavallo fra l’Ottocento ed il Novecento, quando la contrazione dei tempi di viaggio non era un’esigenza così pressante, mentre lo era la riduzione al minimo delle opere d’arte come gallerie e viadotti, mancando i mezzi tecnici per la realizzazione e dovendo, almeno nella costruzione delle prime linee, contare quasi in toto sulla forza muscolare degli operatori umani; ed ecco che abbiamo linee tortuose, le quali cercano di aggirare i colli per evitare di scavare gallerie o stanno a lungo sullo stesso versante di un fiume per evitare di scavalcarli con dei ponti, ma permettono velocità di fiancata molto basse.
Ponendosi il problema di un’eventuale ricostruzione, occorre tenere conto di quanto dianzi indicato e, considerato che la maggiorazione inciderebbe per una percentuale non troppo elevata rispetto al ripristino della linea sul vecchio sedime, sarebbe auspicabile la realizzazione di un nuovo tracciato, che consenta velocità di fiancata ragionevolmente elevate e le cui gallerie consentano il passaggio dei carri merci con sagoma di maggior ingombro (Gabarit C).
Se, poi, il tutto fosse realizzato a doppio binario, si verrebbe a creare una ferrovia con il triplice ruolo di servizio a corto raggio, itinerario alternativo (viaggiatori e merci) al percorso via Fossano per i viaggi comprendenti la tratta Ceva – Carmagnola, itinerario alternativo (viaggiatori e merci) al percorso via Cavallermaggiore per i viaggi diretti verso Alba – Castagnole Lanze e destinazioni successive: così facendo, si verrebbe a creare anche un importante tassello per un futuro quadruplicamento, Savona – Torino.
La rinata linea potrebbe avere origine dalla stazione di Ceva, oppure si potrebbe staccare dalla Ceva – Mondovì poco prima di Lesegno, ma, in ogni caso, sarebbe auspicabile dare a quest’ultimo borgo una stazione più comoda di quella attuale, possibilità offerta dalla Ceva – Bra, il cui percorso potrebbe essere tracciato passando, appunto, per Lesegno, Niella Tanaro, Bastia Mondovì, Carrù, Farigliano, Dogliani, Monchiero, Narzole, Cherasco e Roreto, con raggi di curvatura molto ampi.
Resterebbe il problema del collegamento di alcuni centri abitati ubicati in posizione sopraelevata con le rispettive stazioni, problema facilmente risolvibile mediante l’installazione di sistemi ettometrici di trasporto a fune, come brevi tronchi funicolari aerei o terrestri, oppure ascensori.
L’ingresso nella stazione di Bra è posto in corrispondenza della radice Est, che favorisce la mobilità verso Cavallermaggiore o Carmagnola, ma, per proseguire verso il resto della valle del Tanaro, occorre effettuare inversione di marcia: pertanto, sarebbe auspicabile la realizzazione di un ingresso anche in corrispondenza della radice Ovest così da istradare indifferentemente i treni nelle varie direzioni senza inversioni, penalizzanti dal punto di vista dei tempi di percorrenza.
Va da sé che le stazioni dovrebbero essere realizzate in maniera da operare impresenziate, ma con la possibilità di presenziamento per la gestione di situazioni particolarmente difficili, nonché con adeguato numero di binari per la gestione della circolazione eterotachica e, assolutamente imprescindibile, scali e raccordi merci.
LA MOBILITA’ FERROVIARIA
NEL PIEMONTE SUD – OCCIDENTALE
Come sopra osservato, il Piemonte dispone, insieme alla Lombardia occidentale, della rete ferroviaria più capillare d’Italia, ancorché meno ricca rispetto ad un tempo. Sulla tratta Bra – Ceva si è appena dissertato: ora occorre estendere i confini dell’analisi, con eventuali ipotesi di ampliamento, partendo proprio dalle stazioni terminali e dalla diramazione che da Bastia conduce a Mondovì.
L’apertura di un nuovo centro commerciale a Mondovì comporta la risoluzione dei problemi di trasporto dei clienti, ma anche delle merci da e per il medesimo: quale migliore occasione per meditare la riapertura, possibilmente con elettrificazione e, almeno nella tratta compresa nel Comune di Mondovì, raddoppio anche di quella diramazione? Certamente, il cliente finale non utilizzerà il treno per il trasporto di beni acquistati pesanti od ingombranti, ma potrebbe essere incentivato a farlo nel caso in cui si rechi semplicemente in visita o ad acquistare articoli ben più maneggevoli, per non parlare dell’indubbio vantaggio per i gestori derivante dalla possibilità di approvvigionare il centro mediante carri merci inviati dai fornitori per ferrovia e, quindi, deviati su apposito raccordo.
Mondovì, inoltre, è l’unica stazione della linea Savona – Torino, insieme a San Giuseppe di Cairo, ad avere una diramazione non orientata verso Torino: trattasi del breve tronco Mondovì – Pianfei – Cuneo, purtroppo penalizzato dalla trazione termica, che costringe i treni provenienti da Genova e diretti a Cuneo od a Limone Piemonte ad una maggiorazione di percorso fino a Fossano e ad un’inversione di marcia in quest’ultimo scalo, inversione che si aggiunge a quella necessaria a Savona, la cui eliminazione sarebbe, stantibus sic rebus, eccessivamente onerosa.
Una banale elettrificazione porterebbe indubbi vantaggi a fronte di una spesa, tutto sommato, contenuta. A queste deficienze, si deve aggiungere l’errore commesso nel voler considerare Fossano quale nodo fondamentale d’interscambio, addirittura meditando il raddoppio della tratta Fossano – Centallo – Cuneo, quando la soluzione più razionale, ancorché più costosa, sarebbe portare l’interscambio a Savigliano, con bretella Savigliano – Genola – Levaldigi – Centallo in direzione Cuneo e Savigliano – Marene – Madonna del Pilone verso Bra / Alba e successive destinazioni (più utile di un eventuale collo d’oca a Cavallermaggiore). Ovviamente, sarebbe necessario effettuare qualche servizio da Fossano a Cuneo, diretto o con cambio a Centallo, utilizzando il ramo esistente, che non ha ragione di essere raddoppiato se non oltre Centallo, mentre, da una parte, si collegherebbe Levaldigi ed il suo aeroporto con Cuneo e Torino e, dall’altra, Cuneo con la parte orientale della sua Provincia e con i capoluoghi di quelle limitrofe senza manovre macchinose od allungamenti di percorso, senza contare che le cose avverrebbero in una stazione dalla quale, creando il collegamento con Centallo, si potrebbero diramare due percorsi per Cuneo: uno passante per l’aeroporto di Levaldigi ed uno passante per Saluzzo, città fortemente penalizzata dalla chiusura dell’importante tratta per Airasca. La realizzazione del nodo di Savigliano altro non sarebbe che la trasposizione su ferro di quanto si sta facendo su gomma con l’autostrada Asti – Cuneo, la cui costruzione sarebbe stata da posporre al miglioramento ferroviario, miglioramento che sarebbe dovuto iniziare dal raddoppio con elettrificazione e rettifiche di tracciato della tratta Bra – Alba, vero asse portante della mobilità in direzione Est – Ovest nel basso Piemonte e parte integrante di un corridoio medio Padano comprendente la linea Bra – Castagnole Lanze – Alessandria, ingiustamente trascurata.
A Sud di Ceva, invece, esiste una linea trascurata, che alcuni vorrebbero far scomparire in favore della gomma, sperando anche per lei in una cosiddetta provvidenziale alluvione: si tratta della Ceva – Ormea. Fiumi d’inchiostro sono stati scritti sui collegamenti a cavallo del Colle di Nava; alcune tangenziali ai borghi della Valle Impero sono state lodevolmente costruite: era assolutamente necessario, così come il traforo del Colle San Bartolomeo. Da decenni si parla di traforare il Colle di Nava, ma si tentenna, discutendo, tra l’altro se lasciare libera circolazione od istituire un pedaggio. Sta di fatto che, nel caso in cui la strada fosse mai costruita, sarebbe saturata in men che non si dica, poiché è prevista a due sole corsie, mentre, in certe giornate, occorrerebbe una vera e propria autostrada a sei corsie dal tracciato amichevole, che consenta elevate velocità anche da parte di guidatori non particolarmente dotati.
Pertanto, la seria progettazione di una ferrovia da Ceva ad Imperia non è assolutamente campata per aria ed, allora, si renderebbe necessario anche il raddoppio della Ceva – Ormea, in modo tale da realizzare un servizio che, accanto ai regionali con fermate in tutte le stazioni, contempli dei diretti Ormea – Cuneo, con fermate soltanto a Garessio, Ceva e Mondovì, ed, anche in questo caso, l’itinerario via Bastia potrebbe risultare di molto utile, anche per istituire delle ipotetiche Frecce del Tanaro Ormea – Garessio – Ceva – Bastia Mondovì – Bra – Alba – Castagnole Lanze – Asti – Alessandria.
ALCUNE CONSIDERAZIONI GENERALI
Il confronto con le altre Nazioni Europee, purtroppo, ci vede perdenti: il quotidiano La Stampa, nel numero di martedì 16 giugno 2009 pubblica la notizia relativa alla caduta dell’ultimo diaframma nella nuova galleria di base del Gottardo, situata in quella Confederazione Elvetica che, già da tempo, ha imposto stringenti limiti al traffico su gomma, specie in attraversamento, contingentando quest’ultimo con massimali via via decrescenti nel corso degli anni, quando, per converso, in Italia, in una quindicina d’anni ovunque si sono, colpevolmente, tagliati binari ed abbandonati scali merci, per non parlare del servizio postale, un tempo effettuato con veicoli all’uopo destinati, spesso componenti treni dedicati.
Lo stesso citato quotidiano, nel medesimo numero di cui sopra, riferisce il malcontento dei viaggiatori derivante dalla sospensione estiva del servizio ferroviario nella tratta Castagnole Lanze – Nizza Monferrato – Alessandria, servizio che viene effettuato con autobus sostitutivi in ritardo quando addirittura soppressi e di capienza certamente inferiore a quelli dei treni. Si osservi che l’autoservizio sostitutivo è dato in appalto, parola che, almeno in Italia, ha un sinistro significato.
Considerata l’alta frequentazione delle zone attraversate da parte di turisti anche stranieri, un servizio ferroviario troverebbe piena giustificazione, ma, con operazioni cui, purtroppo, nel nostro Paese, siamo da tempo avvezzi, si programmano gli orari in maniera tale da avere tempi di percorrenza biblici anche su tratte di lunghezza minima, sicché i servizi, a ragion veduta, disertati dall’utenza, vengono affievoliti o definitivamente soppressi, creando, viziosamente, i presupposti per la chiusura delle linee, sempre che non intervenga prima una provvidenziale alluvione, con relativi fondi per costruire un’autostrada al posto della defunta, inutile ferrovia. Quanto finora evidenziato fa parte di un discorso molto più ampio e quanti mai attuale, comprendente tematiche di politica generale dei trasporti.
Se, nel passato, si è creduto nel trasporto ferroviario, aiutati anche dal fatto che si trattava del sistema più all’avanguardia per l’epoca, l’avvento della motorizzazione individuale, aiutato da un clima di moralità non proprio cristallina ha portato, in Italia, all’affossamento delle ferrovie ed alla forte contrazione del trasporto merci, con soppressione quasi totale di quello diffuso ed a piccole partite. Paradossalmente, nemmeno la saturazione del sistema stradale ha fatto invertire questa tendenza nel nostro Paese, mentre all’estero, le ferrovie, che, peraltro, non hanno mai conosciuto il nostrano declino, sembrano godere di un rinnovato splendore, tanto da rivitalizzare linee credute, erroneamente, secondarie.
Da noi, invece, eccettuato il sistema ad alta velocità, necessario, ma in essere per pure motivazioni di facciata ed alcuni servizi merci a treno completo, la situazione non è affatto rosea. Innanzi tutto, per fare un paragone con il nostro corpo, puntare solo su poche linee principali, alta velocità compresa, equivale alla pretesa di portare ossigeno e nutrimento ad un intero organismo contando solo sulle arterie aorta, carotidi, succlavie, omerali, iliache e femorali ed eliminare i metaboliti solo attraverso le vene giugulari, omerali, succlavie, femorali, iliache, cave e porta, affidando tutto il resto alla diffusione passiva: anche una persona non esperta di materia biologica o medica si avvede della materiale impossibilità di un siffatto processo; infatti, esistono i piccoli vasi ed i rami terminali, fino ai capillari per assicurare un adeguato servizio d’irrorazione sanguigna in tutto il corpo.
Altro vantaggio che la Natura ha dato al nostro apparato circolatorio sono i circoli collaterali, ovvero delle vie attraverso le quali il sangue può scorrere in caso di ostruzione del percorso principale abituale o per far fronte ad aumentate esigenze metaboliche: un esempio è costituito dal sistema delle arterie coronarie di alcuni soggetti: coloro i quali sono provvidenzialmente forniti di rami collaterali sono nelle condizioni di evitare fenomeni ischemici potenzialmente fatali.
Fuor di metafora, trasponendo il discorso all’ambito ferroviario, è facile comprendere che le linee considerate secondarie, in realtà sono i rami terminali necessari ad assicurare il servizio a quelle aree geografiche i cui abitanti, in caso contrario, sarebbero costretti a sobbarcarsi lunghi tragitti in autovettura od in autobus, mentre i percorsi alternativi, oltre ad essere l’unica via possibile in caso d’impedimento sul percorso principale abituale, rappresentano una via più breve per collegare località che, limitandosi ad usare il più possibile la cosiddetta rete principale, sarebbero connesse da un percorso di lunghezza maggiore, con tempi, spesso, non compensati dalle migliori potenzialità delle linee. Compito di chi programma i trasporti, ovviamente, prevedere l’istituzione di tali collegamenti, senza relegare queste linee al puro traffico regionale o suburbano.