Il rapporto tra sistema ferroviario e vie ciclabili.

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Angelo Marinoni, vicepresidente di AFP, esprime la posizione ufficiale di Associazione Ferrovie Piemontesi sul tema del rapporto tra sistema ferroviario e vie ciclabili.

Interveniamo ancora una volta circa il dibattito sulle piste ciclabili sopra i sedimi ferroviari; in prima istanza vorremmo ufficialmente chiarire che non esiste un fronte contro le piste ciclabili, mentre esiste un fronte contro il sistema ferroviario complementare. Lo sviluppo di percorsi ciclabili, vie verdi, o banalmente piste ciclabili è auspicato e incoraggiato da una organizzazione come la nostra che fa della mobilità eccellente ragione di esistere.

Lo sviluppo di una rete ciclabile è sinergico e parallelo ad una corretta gestione della rete ferroviaria, non è in competizione: l’unica osservazione che va fatta è che uno sviluppo di una rete ciclabile sopra e al posto della rete ferroviaria non abbia alcun senso.

Il raggiungimento dei percorsi ciclabili attraverso il sistema ferroviario è l’obiettivo che si sono, con successo, posti le regioni europee più volte citate e organizzazione come FIAB e AFP perseguono lo stesso identico obiettivo: mobilità sostenibile, integrata ed eccellente. Esistono ambiti in cui un sedime non possa avere storia diversa che diventare un percorso ciclabile, non è il caso delle ferrovie di cui si parla in queste pagine da qualche tempo. I territori UNESCO richiedono una viabilità ciclabile a vocazione turistica e la possono avere universalmente fruibile solo con un ripristino del sistema ferroviario peraltro efficiente che insiste su quel territorio.

Come nel caso del progetto “VenTo” circa la tratta Asti – Casale Monferrato s’individuano chilometri di strade interpoderali che si prestano a divenire ciclovie e percorsi verdi che trovano nelle stazioni della ferrovia il loro momento d’integrazione e sinergia.

Un percorso ciclabile fine a se stesso e integrato solo agli estremi con la rete viaria diventa una palestra riservata a pochi, di alto costo di manutenzione e raggiungibile solo tramite mobilità insostenibile, a parte quei turisti che muovono dal centro Europa alle nostre terre direttamente in bicicletta, ma non possiamo certo parlare di numeri tali da giustificare simili interventi infrastrutturali.

Nel Tirolo come in Baden-Wuttermberg, in Svizzera come in Baviera i percorsi ciclabili sono integrati e solidali con la rete ferroviaria complementare che oltre al traffico locale offre tutti gli strumenti logistici per lo sfruttamento ciclabile dei percorsi verdi tramite le stazioni. Da nessuna parte si è coperta di bitume una ferrovia per farvi una pista ciclabile non connessa a punti d’interscambio con la viabilità ordinaria e sistemi di trasporto pubblico.

In Piemonte, la Airasca – Saluzzo venne criminalmente chiusa nel 1986 ed è ora assai poco frequentato percorso ciclabile in alcuni momenti, in molti altri è uno sterrato fruibile solo a certe biciclette, si può dire che sia meglio così che niente, ma ci mangiamo le mani di aver perso “la metropolitana delle Alpi” per un percorso che poteva essere realizzato in parallelo e a costi inferiori alla tratta ferroviaria (come sul lago di Costanza per fare un esempio).

Altro esempio è la litoranea ligure sulla quale personalmente avanzo non poche perplessità: avendo perso una splendida ferrovia e un’ottima occasione di mobilità locale sostenibile. Le strade intasate e una ferrovia lontana chiusa nella montagna sono state il risultato.

Ultima citazione è la Bra-Ceva il cui sedime sarebbe pronto al riarmo quantomeno limitatamente alla tratta Bra – Bastia – Mondovi’, in parallelo esistono molti momenti che vedrebbero una pista ciclabile della bassa valle Tanaro in sinergia con la rinnovata ferrovia i cui costi di riarmo sono meno impegnativi di quanto non sembri.

Sicuramente la scelta di usare i fondi per la ferrovia stanziati nel 1995 per realizzare la fondovalle sul sedime ferroviario sono stati un colpo mortale alla sostenibilità ambientale della viabilità della bassa valle, ma sulla direttrice Bra – Bastia – Mondovì il sedime aspetta solo i suoi binari e sarebbe bello che nelle belle stazioni che vi insistono vi fossero i punti di interscambio con i percorsi ciclabili facilmente realizzabili attraverso la complessa rete di strade e sentieri interpoderali.

Le opere d’arte sul fiume sono tutte pronte e una coraggiosa amministrazione potrebbe dare una sterzata finalmente definitiva verso la mobilità sostenibile di persone e cose ripristinando i collegamenti ferroviari e costruendo intorno e in sinergia con essi le infrastrutture ciclabili utili al turismo come al cortissimo raggio nella mobilità locale.

Riteniamo che il problema e, conseguentemente, il dibattito non debba vertere su cosa fare delle ferrovie nel caso non le si voglia ripristinare, ma su come gestire un sistema ferroviario pronto all’uso che è un crimine lasciare marcire o dimenticare sotto una colata di bitume.

(Articolo già pubblicato sulla rivista Idea)

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